Onorevoli Colleghi! - La società ha ricevuto un mandato nei confronti delle persone detenute che, ancora prima di essere un precetto di carattere costituzionale sancito dall'articolo 27 della Costituzione, rappresenta anche un imperativo morale. Ci riferiamo al concetto di «rieducazione» che oggi va inteso non soltanto come opportunità di reinserimento per la persona che deve scontare una pena, ma anche come occasione di investimento sociale da parte della comunità. In questo modo la differenza costituita da una situazione di debolezza personale può trasformarsi addirittura in un elemento di sviluppo e di maggiore sicurezza per tutti. Se si contribuisce affinché il detenuto non torni in carcere dopo aver scontato la pena, si ottiene un doppio risultato: uno per l'interessato che torna ad essere cittadino nel senso pieno della parola e uno per la società che si sentirà più sicura.
      In questo quadro un importante contributo viene dato dalle cooperative sociali «di tipo B», il cui meccanismo organizzativo realizza il proprio fine di solidarietà attraverso lo svolgimento di attività produttive del tutto similari a quelle di tante imprese pubbliche e private. La diversità fra questi enti cooperativi e altre realtà economiche risiede nell'elemento-base dato dalla particolarità della compagine sociale: accanto al nucleo fisso costituito dai cosiddetti «soci lavoratori» prestano la propria attività anche persone svantaggiate, fra le quali appunto anche soggetti sottoposti a pene alternative alla custodia in carcere. È provato che l'efficacia del percorso rieducativo viene rafforzata dal mantenimento del legame fra i detenuti e le strutture delle cooperative almeno fin tanto che, anche dopo il termine della pena, essi non abbiano trovato un nuovo lavoro. Per realizzare tutto ciò le cooperative svolgono svariate attività (ad esempio falegnameria, informatica, montaggi vari, lavanderie industriali, pulizia degli ambienti, manutenzione del verde e degli

 

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immobili, gestione delle mense e simili) in certi casi espressamente previste da norme vigenti (si veda in proposito l'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, finalizzato a qualificare le persone detenute nella gestione della mensa al fine di evitare il ricorso al sopravvitto). Le statistiche parlano chiaro in merito ai risultati positivi conseguiti grazie a programmi rieducativi che hanno utilizzato strutture cooperative. Ad esempio, la Exodus di Brescia, impegnata fin dal 1987 nel recupero e nell'inserimento lavorativo di persone detenute che godono di pene alternative al carcere, rileva che:

          a) il 50 per cento delle persone uscite dalla cooperativa alla fine del progetto personalizzato di reinserimento si è positivamente reinserito lavorando con continuità presso altre realtà produttive;

          b) il 23 per cento è tornato in carcere dopo aver commesso un nuovo reato;

          c) il 21 per cento, dopo l'uscita dalla cooperativa, non ha più fatto sapere nulla di sé.

      Dal 1998, cioè dopo la firma di un protocollo d'intesa tra Confcooperative ed il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il mondo della cooperazione sociale, meglio penetrando all'interno degli istituti penitenziari, ha potuto rendersi conto dei disagi reali che provoca il sovraffollamento delle strutture, disagi che il Santo Padre Giovanni Paolo II aveva ben evidenziato in occasione dello storico discorso tenuto davanti al Parlamento italiano nella XIV legislatura.
      La presente proposta si inserisce nel solco tracciato dalla legge 1o agosto 2003, n. 207, recante «Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni», seguendo la stessa spinta iniziale e prefiggendosi uguale finalità. Parte, infatti, dalla necessità di recuperare alla pena il carattere reiducativo e di restituire al detenuto la garanzia del rispetto dei diritti inviolabili della persona; persegue l'obiettivo di allentare la tensione carceraria e di favorire il reinserimento sociale.
      Se non si creano le condizioni minime per il reinserimento sociale e lavorativo delle persone che godono di benefìci o di misure alternative alla detenzione, queste, prima o poi, sono portate a commettere altri reati per sopravvivere e sono destinate a ritornare in carcere.
      Il problema della recidiva purtroppo è la norma quando il detenuto non trova possibilità di effettivo recupero alla vita sociale. Per questo motivo la presente proposta di legge, destinata a tutti i condannati che si trovano in carcere e devono scontare una pena inferiore a due anni, anche come residuo di pena, ha lo scopo di far loro godere di una misura alternativa al carcere nelle forme della detenzione domiciliare con impegno quotidiano e a tempo pieno, nonché di fare svolgere un lavoro in regime di volontariato a favore di una organizzazione non lucrativa di utilità sociale.
      Per parte sua l'ente accogliente avrà l'obbligo di garantire vitto e alloggio. Al condannato poi, come si fa per il servizio civile nazionale, dovrà essere garantita una remunerazione minima di circa 500 euro al mese. In ogni caso, in fine, il condannato che compie un reato durante questo periodo, oltre alla pena per il nuovo reato commesso, dovrà scontare interamente anche il periodo di misura alternativa di cui ha potuto godere.

 

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